Negli Stati Uniti cresce il numero di agricoltori che utilizza batteri azotofissatori per fornire al mais parte del nutrimento di cui ha bisogno per crescere. Una alternativa sostenibile e potenzialmente rivoluzionaria
Tutte le piante per crescere hanno bisogno di azoto, un gas presente in abbondanza in atmosfera, ne costituisce il 78%, e che rappresenta il fondamento della vita vegetale. Tuttavia le piante non sono in grado di utilizzare l’azoto che si trova nell’aria, ma dipendono dall’attività di microrganismi del suolo che lo assorbono dall’atmosfera e lo rendono biodisponibile.
Un caso classico è rappresentato dalle leguminose, che presentano dei noduli nelle radici predisposte proprio ad ospitare i batteri azotofissatori e a facilitare lo scambio di nutrienti. Ecco il motivo per il quale le leguminose vengono utilizzate come colture da sovescio al fine di arricchire il suolo di sostanza organica.
La maggior parte delle piante tuttavia, come il mais, non è in grado di “collaborare” con questi batteri e quindi assorbe l’azoto presente nel terreno oppure proveniente dai fertilizzanti. L’uso dei fertilizzanti ha permesso all’agricoltura moderna, esplosa nel Dopoguerra, di sfamare una popolazione mondiale in forte crescita, che con le tecnologie pre rivoluzione verde non avrebbe avuto cibo a sufficienza.
Tuttavia l’uso di fertilizzanti azotati di sintesi comporta alcuni problemi. È un’attività energivora (il 3-5% del gas consumato ogni anno nel mondo è destinato alla produzione di fertilizzanti) che quindi emette elevate quantità di CO2 in atmosfera. Inoltre l’uso, talvolta disinvolto, dei fertilizzanti crea problemi alle falde acquifere. Senza contare poi che i recenti aumenti del prezzo del gas hanno fatto schizzare verso l’alto le quotazioni dell’urea, che ha quasi triplicato il suo prezzo rispetto allo scorso anno.
Sfruttare la forza dei batteri
Negli Stati Uniti i maiscoltori hanno una alternativa ai fertilizzanti di sintesi. La startup Pivot Bio ha infatti isolato dei ceppi di batteri azotofissatori e li ha modificati geneticamente per migliorarne le performance. Il risultato è un “fertilizzante” a base di batteri che applicato alla coltura – fanno sapere dall’azienda – permette di fornire circa 20 chilogrammi di azoto per ettaro, riducendo quindi il ricorso a prodotti di sintesi.
Una volta nel terreno i batteri non fanno altro che trasformare l’azoto atmosferico, non disponibile per il mais, in una forma bioassimilabile. Si tratta dell’inizio di una svolta per l’agricoltura poiché in questo modo si potrebbero ridurre, se non eliminare, alcuni fertilizzanti di sintesi rendendo il comparto agricolo maggiormente sostenibile.
Sempre che la normativa europea e l’opinione dei consumatori non si schieri contro questi batteri, che di fatto sono Ogm. In natura infatti tali batteri hanno performance meno sorprendenti e quindi non sarebbero in grado di sostenere la crescita di una coltura industriale.
I batteri, la nuova Eldorado
Anche se Pivot Bio ha dichiarato che il suo prodotto, denominato ProveN, è giù utilizzato su mezzo milione di ettari negli Usa, si tratta ancora di una superficie irrisoria. Tuttavia questo nuovo settore è agli albori ed è potenzialmente enorme, visto che l’azoto è il principale macroelemento fornito dagli agricoltori alle colture.
E infatti su questo business ci si stanno lanciando in molti, anche società “tradizionali”, che hanno compreso le potenzialità nascoste nei batteri e vogliono sfruttarle. Pivot Bio ha raccolto 430 milioni di dollari da diversi investitori (guidati da Dcvc e Temasek). Mentre nel maggio di quest’anno, Kula Bio, con sede a Boston, ha raccolto 10 milioni in un round guidato da Collaborative Fund. Boost Biomes, startup di San Francisco, ha invece ottenuto 5 milioni in finanziamenti da Yara.
Bayer ha invece stretto un accordo con una società di bioingegneria, Ginkgo Bioworks, per dare vita ad una newco, Joyn Bio, per esplorare il potenziale della fissazione biologica dell’azoto. Mentre un’altra società californiana, Sound Agriculture, ha ottenuto 22 milioni di dollari da S2G Ventures, Syngenta e altri soggetti nel maggio 2020, mentre nel 2021 ne ha ottenuti altri 45 da Bayer e altri investitori per sviluppare il suo prodotto che, grazie all’azione dei batteri, promette di ridurre del 30% l’uso di azoto di sintesi.
A settembre di quest’anno invece la cilena Andes ha raccolto 15 milioni da diversi soggetti, tra cui Bayer. La startup ha sviluppato una concia a base di microrganismi che riduce la richiesta di fertilizzanti di sintesi. Ma su questo settore stanno investendo molto anche le aziende cinesi, come quelle indiane e giapponesi.
L’interesse di così tanti soggetti diversi dimostra come l’uso dei batteri per fornire nutrimento alle piante è un nuovo settore e un business promettente destinato ad esplodere nei prossimi anni. Ma non solo per quanto riguarda la nutrizione. Batteri, virus, funghi e altri microrganismi sono sotto la lente d’ingrandimento per il ruolo che possono avere nella difesa delle colture, nella biostimolazione e in generale nel rendere il settore primario più produttivo e resiliente.
Fonte: Agronotizie Autore: Tommaso Cinquemani